Gli studenti della classe 3S di Berchem si sono cimentati in un difficile compito: recensire in italiano alcuni dei Racconti Romani di Alberto Moravia. Secondo me, ci sono riusciti benissimo. E voi, che ne pensate? Aspettiamo le vostre reazioni. Buona lettura.
Francesca Cavaliere
aprile 2011
FACCIA DA MASCALZONE
Come in molti altri racconti, Alberto Moravia narra una storia che si svolge in un ambiente frequentato da una classe sociale piuttosto bassa.
I protagonisti lavorano entrambi nell’ufficio postale, più esattamente nell’ ufficio pacchi.
Moravia fa una descrizione così dettagliata del loro posto di lavoro, che sembra quasi di poterne sentire l’odore. Si può anche immaginare la gente annoiata che deve fare un’attività molto monotona; la maggior parte di loro rimane al suo posto per tutta la vita, senza alcuna speranza di migliorarsi nel futuro.
In questa storia, invece, c’è una ragazza che non smette di sognare un bel futuro in una vita lontana da questo luogo triste.Valentina è appassionata di cinema e sogna di poterlo fare anche lei. È vero che ha un bel viso, e per questo si illude che un giorno anche lei potrà diventare attrice.
Il suo collega, Renato, non pensa ad un’ altra vita, è contento della sua e del suo lavoro. Lui è innamorato di Valentina, ma lei non lo vede neanche : si sente troppo bella per lui, che invece è un uomo brutto. Ma quando un giorno Valentina trova l’occasione di uscire dalla sua vita noiosa, ha bisogno di lui.
Un giovanotto le fa credere di poterla lanciare nel mondo del cinema : deve presentarsi agli studi cinematografici. Poichè non vuole andarci da sola, chiede a Renato di accompagnarla abusando della sua bontà, mentre si vergogna di lui.
Si recano agli studi e Valentina è felice di avere Renato al suo fianco. All’inizio, il giovanotto che l’ha scoperta all’ufficio postale, non la riconosce, per lui è una delle tante e non ha più bisogno di lei. Invece il “brutto” Renato sembra essere esattamente il tipo che cercano per una parte. Valentina è arrabbiata, non lo vuole più vedere.
Dopo un po’di tempo, Renato torna alla posta e vede Valentina fare sempre lo stesso lavoro. Inoltre, si è fidanzata con uno dei suoi colleghi.
Questo passaggio nel libro è molto commovente e pietoso ; la ragazza che voleva tanto cambiare la sua situazione sociale, si è rassegnata alla sua sorte. Vive una vita nella media con un marito “medio”che lavora nello stesso ufficio : è svanito il suo sogno di diventare una stella del cinema.
Renato, invece, che non desiderava niente, si lancia da un momento all’altro in un’altra vita.
Con questa storia, Moravia vuole dimostrare che nella vita non si è sempre padroni del proprio destino. Possiamo provare a cambiare la nostra situazione, ma abbiamo anche bisogno della fortuna . Tante cose nella vita capitano per caso.
Hilde Theuwis
IL PICCHE NICCHE
Siamo in Dicembre, un mese prima delle feste, quando “i furbi”, cioè il pasticciere, il pollarolo, il macellaio vendono molto da mangiare.
Io, Egisto, sono cartolaio, non vendo molto e ho debiti da pagare.
I miei vicini sono: Tolomei, il pizzicagnolo, De Santis, il pollarolo, De Angelis che ha un vapoforno e Crociani che ha una fiaschetteria.
Crociani dà un picche nicche , in realtà un cenone tradizionale, per celebrare la fine dell’anno. Ciascuno deve portare qualche cosa. Tolomei porterà gli antipasti, De Santis i tacchini, De Angelis i tortellini. Crociani offre il vino e lo spumante.
Noi, mia moglie e io, dobbiamo portare il panettone. Noi lo dobbiamo comprare, il panettone, gli altri hanno la roba in bottega.
La festa si terrà nella magnifica nuova stanza da pranzo di Adolfo Crociani.
Io, Egisto, porto un enorme scatolone con il panettone.
Gli invitati sembrano tutti soddisfatti e vogliono passare una serata tra commercianti. Io non riesco a scherzare. Mangio, divoro e taccio.
Dopo il pranzo prendo la scatola del panettone. L’apro e do a ciascuno una penna, un quaderno,una boccetta d’inchiostro e un abbecedario. Spiego che, come loro, ho portato la roba che avevo in bottega.
Al brindisi dico che spero che leggano di più durante l’anno che verrà cosicché anchio potrò fare affari e non avrò più debiti da pagare.
Dopo la festa, in strada, mia moglie piange e dice: “Ora ci siamo fatti dei nemici e l’anno che verrà sarà peggio di quello che è finito”.
Marguerite Verhaere
PRECISAMENTE A TE
“Precisamente a te” è una storia ironica, che dà da pensare sui nostri comportamenti, perché, pur se le storie si svolgono negli anni ’50, i nostri desideri, i nostri sentimenti non cambiano. Anche adesso vogliamo soddisfare i nostri bisogni, realizzare i nostri sogni, essere felici....
Ci sono cose non controllabili, ma siamo comunque responsabili delle nostre scelte
e i nostri comportamenti sono spesso influenzati dai nostri sentimenti, dalla paura, dalla vergogna .... come in questa storia.
Quando Luigi racconta alle ragazze che fa il « mondezzaro », lo lasciano tutte le volte. Si vergogna del suo mestiere, decide di nasconderlo e racconta delle bugie. Alla fine perde la sua ragazza Giacinta che dopo sceglie il suo compagno, anche lui spazzino. Giacinta aveva visto dalla finestra che lavoro faceva Luigi ma non ha detto niente, l’ha lasciato dire delle bugie stupide, e ne ha sorriso.
All’inizio di questa storia, c’è già la riflessione : « Amor prorio, ... e si sa che nella vita l’amor proprio è tutto, e chi non capisce questo, non capisce niente della vita. »
Come Luigi desideriamo tutti di essere accettati dagli altri così come siamo e se Luigi avesse avuto più amor proprio, probabilmente tutto sarebbe andato diversamente.
Mi piace molto come Moravia descrive il comportamento umano nella vita quotidiana. È divertente poter scoprire sotto questo stile semplice l’analisi della psicologia umana. Moravia descrive con umorismo i capricci della fortuna e mi ha fatto anche pensare a Alanis Morisette che canta :
« Isn’t it ironic ?
.... A traffic jam when you're already late
A no-smoking sign on your cigarette break
It's like ten thousand spoons when all you need is a knife
It's meeting the man of my dreams
And then meeting his beautiful wife
And isn't it ironic...don't you think
Life has a funny way of sneaking up on you
Life has a funny, funny way of helping you out .....
A no-smoking sign on your cigarette break
It's like ten thousand spoons when all you need is a knife
It's meeting the man of my dreams
And then meeting his beautiful wife
And isn't it ironic...don't you think
Life has a funny way of sneaking up on you
Life has a funny, funny way of helping you out .....
Mi sembra che anche Moravia ami sottolineare l’ironia del destino e così, leggendo questa storia ti spinge a vedere la vita dal lato umoristico e a sorriderne, a non irritarti o arrabbiarti ma a vedere l’aspetto comico di certe vicende.
Liliane Wegge
L’ Impataccato
Venerdì, Attilio prende i soldi (50.000 lire) per Ottavio e parte. Alla fermata del tram si arrabbia, pensando che Ottavio non ha corso nessun rischio per rubare i gioielli. Allora Attilio ha l’idea di non dare niente a Ottavio. Nel tram incontra Cesare, un disperato che ha conosciuto dopo la guerra.
Cesare (vestito un po’ come un vagabondo) gli domanda di scendere. In questo momento ad Attilio viene l’ idea che potrebbe usare Cesare per non dare i soldi a Ottavio
Cesare gli propone di aiutarlo a vendere una moneta dorata, perché ha bisogno dei soldi e non ha mangiato da 2 giorni. Quando Attilio gli dice che la moneta non vale niente, Cesare gli suggerisce di prestargli 200 lire. Si mettono d’ accordo per vendere la moneta per 60 000 lire. Attilio dice che lui cercherà qualcuno ma Cesare si avvicina già a un ragazzo. Allora Attilio interviene e si presenta come un antiquario che vuole comprare la moneta.
Quando Cesare vuole dare la moneta al ragazzo, lui vuole andare alla questura. Allora Attilio compra lui la moneta per 50.000 lire per provare al ragazzo che vale veramente qualcosa. Ma in realtà il ragazzo e Cesare si conoscevano e mentre Attilio e il ragazzo stanno litigando, Cesare se ne va via con i soldi.
Attilio va al negozio di Ottavio per dire che non ha più i soldi ma una moneta romana. Ottavio l’ esamina, comincia a ridere e gli dice “ sei finito pataccaio”.
I personaggi nella storia vivono più o meno ai bordi della società. Di solito non hanno molti scrupoli. E’ anche una storia un po’ semplice, dopo qualche frase il lettore sa già con sicurezza la fine.
Quello che vuole truffare il suo compagno è la persona che sarà truffata .
Mi è piaciuta la descrizione vivace dei personaggi. Era quasi come una fotografia.
Chris Van Laer
Il Tesoro
Questa storia dimostra che Marinese era furbo e intelligente. Era vecchio e non poteva più scavare, non ne aveva più la forza. Perció aveva frequentato tante volte l'osteria dove Alessandro e Remigio erano al lavoro e naturalmente aveva parlato tante volte d'un tesoro.
E di questo tesoro, Marinese conosceva bene il luogo, ma questo era il suo segreto. Allora l'ortolano ne ha fatto una grande pubblicità all'osteria e i due garzoni hanno cominciato a sognare di un tesoro, andare via dal lavoro e fare un sacco di soldi.
Allora i due erano caduti in trappola e avevano scavato dall'ortolano cercando un tesoro che non c'era.
Infine Marinese ha raggiunto il proprio scopo, si è fatto scavare il terreno perché non aveva più la forza, ha pareggiato lo strame, cioè il tesoro, e con questo tesoro sperava di avere dei begli ortaggi.
Robert Kets
Alberto Moravia, Il pensatore
Il titolo di questo racconto mi faceva pensare ad un tipo strano che forse fa il filosofo. Invece no, è assolutamente falso come vedrete. Ecco qui la storia!
Il cameriere Alfredo, per un anno filato, durante il lavoro al ristorante “Marforio”, non pensa a niente. I nomi dei piatti ordinati dai clienti sono le sole parole che gli girano per la testa. Al ristorante, si capisce, il padrone ne è molto contento, anzi, secondo lui, gli altri camerieri devono prendere esempio da Alfredo.
Un giorno però la situazione cambia completamente. Quando un cliente comincia a trattarlo male, Alberto, invece di non pensare a niente come al solito, di colpo ha la testa piena di minacce, ingiurie, parolacce e insulti. Nei giorni seguenti le cose vanno di male in peggio. Alberto scopre che non finisce più le sue frasi solo con la mente ma anche con le labbra, cioè mormora gli insulti destinati ai clienti.
Dopo un’po non sono più pensieri sussurrati, Alberto pensa ad alta voce, ossia parla. Fa apprezzamenti offensivi su tutti i clienti e non riesce più a stare zitto. Parla da solo e non parla quasi più con gli altri. Il padrone lo considera un po’ matto e aspetta la prima occasione per mandarlo via.
Una sera entra nel ristorante una compagnia di “bella gente”, vestiti bene, chique! Questa gente gli da del tu, non solo a lui ma anche agli altri camerieri e perfino al padrone. Per Alberto questa vicenda è la goccia che fa traboccare il vaso. Parecchie volte chiama il capo della compagnia “ beccamorto”. Nel ristorante c’è il silenzio completo, tutti guardano il litigio che segue. Finalmente il direttore prende Alberto per il braccio e lo porta in cucina, dove anche a lui Alberto dice “beccamorto”. Viene licenziato in tronco. Fuori per strada dice la stessa parolaccia ad un agente che pensa di aver a che fare con un ubriaco. Finisce in prigione e quando finalmente ne esce si accorge che la sua testa è di nuovo vuota, i pensieri congelati.
Vi è piaciuto il racconto? Non tanto? Ah forse è così perchè non vi ho detto tutti gli insulti che usava Alberto. Eccoli qui comunque: caprone, burino, cretino, brutto scemo, morto di fame, che tu possa strozzarti. Il vostro compito: dare la traduzione di queste parolacce e cercarne dieci altre. Scherzo eh!
(Diana Machiels)
SCHERZI DEL CALDO
Dopo una lite in famiglia, durante un’estate soffocante, Ernesto fugge di casa.
Camminando dall’altra parte della città, al lato opposto del Tevere, arriva in un quartiere più brutto di una borgata.
Una bambina bionda di otto anni gli chiede entrare, perché sua mamma sta male.
Appena entrato, la donna comincia a accusarlo di essere andato via, abbandonando lei e sua figlia. Dalla sua borsa trae il documento del matrimonio: “Proietti Elvira sposa Rapelli Ernesto.” Ma lui non è “Rapelli” Ernesto !
La donna lo rimprovera di essere scappato di casa e di aver lasciato la sua famiglia. Ma un’altra donna, entrata anche lei nella baracca, spiega che Elvira ha la fissazione che tutti gli uomini siano suo marito. Ernesto ne ha abbastanza, le regala cento lire e se ne va.
A casa, dopo un’esperienza così, fa pace con sua moglie.
Qualche giorno più tardi Ernesto torna in quel quartiere per ritrovare la baracca, ma senza risultato. Sua moglie sostiene che ha inventato quella storia per il rimorso di aver pensato di abbandonarla.
Questo racconto descrive bene i diversi modi di vivere a Roma, durante l’estate. Nelle case dei ricchi l’aria è fresca di notte; si può bere una bibita fresca, con cubetti di ghiaccio. A casa di Ernesto, invece, gli abitanti soffocano. L’acqua che esce dal rubinetto è calda.
Con questo caldo, i caratteri diventano litigiosi. Il ricco, se si infastidisce, se ne va in un’altra stanza, il povero deve fare i conti con la mancanza di spazio.
Un’atmosfera del genere è uno sfondo ideale per una lite in famiglia.
(Mon De Ridder)
Romolo e Remo
In questa storia, Alberto Moravia racconta come un poveraccio imbroglia un vecchio amico ancora più povero di lui.
Remo, un disoccupato disperato che sta quasi morendo di fame, va a mangiare nella trattoria di Romolo, sapendo bene che non potrà mai pagare. Romolo si rivela altrettanto povero e inoltre ha da mantenere moglie e figli.
La povertà è spesso stata il soggetto della letteratura.Di solito nei libri si parla della solidarietà fra i poveri e della rivolta contro i ricchi. Per contro il mondo di Moravia è più cupo. I poveri in questo mondo non sono solidali, anzi fregano gli altri senza pietà nè rimorso.
Remo osserva la povertà di Romolo con lucidità : “Insomma, miseria, completa, assoluta, quasi quasi peggio della mia.” Nonostante questo non ha rimorsi : “anzi, la senzazione di sbafare alle spalle di gente povera quanto me, mi diede maggiore appetito.”
Questa lucidità di Remo è anche la lucidità di Moravia, che osserva il microcosmo romano come attraverso un microscopio. Tutti i personaggi sono brutti e cattivi : Romolo è spaccone, Remo è impostore, la moglie è perfida. Soltanto i bambini suscitano qualche compassione :” sono pallidi, denutriti, gli occhi più grandi della testa.” In quel momento, persino Remo sente qualche emozione, qualche rimorso.
E senza dubbio anche l’alter ego di Remo, Alberto Moravia, deve provarlo : mi sa che, come tutta la gente cinica, fosse un sentimentale.
(Gerda Huygen)
Caterina o lo scherzo del destino
Il protagonista racconta la triste storia del suo matrimonio con Caterina, non proprio una reginetta di bellezza ma dal carattere dolcissimo. Sembrava un angelo.
Dopo due anni felici si erano resi conto che sarebbero restati senza prole, un fatto che lui accetava con rassegnazione, lei invece ne soffriva molto.
Poco a poco il fisico e il carattere di Caterina erano cambiati. Lei era diventata un vero demonio, lo provocava e lo conduceva all’ esasperazione. Era proprio strano che gli facesse compassione e che la volesse sempre bene. Anche dopo la sua morte era rimasto inconsolabile per anni. Non era colpa di nessuno, lei era predestinata a subire tutte le vicende della sua vita, anche la morte…
Una storia commovente, scritta con maestria! Moravia ci dà una descrizione quasi divertente del cambiamento sbalorditivo del carattere di Caterina, tanto che ci si può identificare coi protagonisti.
Infatti a questo punto vorrei mettermi nei panni di Caterina:
Devo raccontare la mia storia: d’accordo, la mia morte è totalmente colpa mia, ho rifiutato di ubbidire a mio marito, quel buono a nulla, quando è apparso l’ aereo.Eravamo ancora così giovani e lui era veramente inammorato cotto di me; io invece ero piuttosto riservata con lui (con quella schifosa macchia nell’occhio). Mi ha convinto a sposarlo, allettandomi con l’idea di una vita lussuosa: una bella casa, bei bambini etc…
Siamo finiti nella casa della suocera, nella soffita! Ero costretta a lavorare nel negozio. Ho fatto del mio meglio per essere piacevole e paziente con lui, con la vecchietta e anche coi clienti. Speravo che quando avremmo avuto bambini io avrei potuto smettere di farmi in quattro per la vecchia strega! Ma…non ce l’abbiamo fatta. Quando me ne sono resa conto sono entrata in una profonda depressione e poi ho cominciato ad odiare tutti…e lui, invece di aiutarmi, se ne andava ogni sera per qualche ora; forse andava a divertirsi con un amante?
Una notte mi ha fatto paura: pensavo che volesse uccidermi annegandomi nel Tevere! Al contrario, diceva che aveva voluto suicidarsi, ma era una bella sceneggiata! E poi abbiamo dovuto fuggire da Roma a causa dei bombardamenti. Ci trovavamo su un camion e quando abbiamo udito l’ aereo, ha gridato: ”ma vieni, vuoi morire?” Ed io, testarda: “ Resto qui, non m’importa di morire!”
Ecco…è stata tutta colpa mia!
(Betty VanderheydenHove, 21 febbraio 2011)
Non approfondire (Racconti Romani, Moravia)
Ne ho letto soltanto una dozzina e trovo che la maggioranza finisce in niente, non direi che non ha né capo né coda, certo no, ma si leggono quattro pagine e poi?
Prendiamo per esempio il n° l, “Non approfondire”. È la storia di una coppia apparentemente del tutto normale che dopo qualche anno di matrimonio decide di separarsi legalmente; o, per essere più chiari, è lei che decide di separarsi da suo marito. Semplicemente una questione di incompatibilità di carattere, qualcosa che è difficile spiegare.
Vediamo la storia insieme. Lui naturalmente pensa di aver fatto tutto il possibile per piacere a sua moglie, enumerando tutte le varie possibilità. Completamente sbalordito va da suo padre per chiedergli aiuto. Il padre, che ha un negozio, approfitta dell’ opportunità che proprio in quel momento entri un cliente per dire a suo figlio: “ne parleremo più tardi” pensando fra sé e sé che non gli darà mai una risposta.
Decide allora di andare da sua suocera, sperando di vedere anche sua moglie che per il momento risiede lì . Sfortunatamente, come si può immaginare, sua moglie non c’è ma la suocera sì.
Le spiega la situazione e lei che risponde? “Non ti posso aiutare, se mia figlia ha deciso così, che vuoi che ti dica”. Lui torna a casa non sapendo di più rispetto a quando è partito di casa.
Per Moravia è abbastanza facile scrivere questa storia molto breve. Se il marito non trova una risposta, né da suo padre, né da sua suocera, allora perché dovrebbe darla Moravia? È forse per questo che la storia non dura che qualche pagina.
Concludendo: per constatare un’incompatibilità di carattere si deve vivere insieme e aspettare, come hanno fatto i protagonista della storia.
Jacques Neyrinck
MARIO
‘Accidenti alle chiacchiere delle donne e accidenti alle donne’.
Questa frase si trova nel brano verso la fine della storia quando il protagonista, Gino, scopre che Mario non è l’ebanista, né il fruttivendolo, né il figlio del norcino ma suo cognato, appena liberato dal carcere. Infatti, di Mario ce ne sono sempre stati molti a Roma. E perciò il protagonista non si era reso conto del fatto che si trattava di qualcuno della sua famiglia. Tuttavia, questo sarebbe stato molto più logico. Ma non sottovalutate la forza dei pettegolezzi delle donne!
All’inizio la vecchia affittacamere che abita di fronte a Gino gli dice: ‘mi fa compassione’ e ‘uomo avvisato mezzo salvato’. E così a lui, il seme del sospetto comincia a crescere. A poco a poco si convince che sua moglie Filomena gli fa le corna con un certo Mario.
Quando si legge la descrizione delle sei donne fatta da Moravia, si può immaginare che si tratta di donne velenose, pettegole. Una di loro è stata fidanzata con lui ed è rimasta zitella. Si capisce la sua intenzione: lo provoca, gli fa scontare l'umiliazione subita, è gelosa.
Un'altra si presenta come la migliore amica di Filomena affermando che non l’ha inventata lei quella storia, l’ha solo ripetuta. Lui risponde:‘Che buon’ amica!’. Questo già indica la natura di quella donna. Una ha un debole per Gino, dunque anche lei ha le sue ragioni per partecipare alle chiacchiere. Un’altra è capace, per denaro, di vendersi l’anima.
Insomma, sono tutte delle donne a cui piace giocare con i sentimenti. Temo che queste cose non cambieranno mai. Spesso quando una donna (mi dispiace, un uomo non lo fa quasi mai), si annoia, ha una qualunque emozione negativa o si sente sola,, allora ha bisogno di parlare con altre donne. Cioè di spettegolare su qualcun altro. Cosi sposta l’accento e si sente meglio. Più appetitosa è la storia, più si sente meglio. Il fatto che questa storia potrebbe essere inesatta, non è veramente importante!
Vera Meeusen
Il mediatore (Racconti romani, Moravia)
I protagonisti sono :
La pricipessa, 25 anni, la proprietaria.
Il signor Proietti, il mediatore.
Antonio, il maggiordomo.
Riassunto del racconto:
Per vendere un appartamento nel suo palazzo, la principessa ricorre all’assistenza d’un mediatore, il signor Proietti, il quale stima il valore dell’appartamento sui 3,5 milioni di lire, la principessa 7 milioni. Passano tre candidati e l’ultimo pagherà 6,5 milioni.
Mi piacciono in questo libro le descrizioni dei personaggi e in questo racconto specialmente quella della bellezza seducente della principessa, lo spirito innamorato di Proietti e l’intelligenza sensata di Antonio.
La descrizione fisica della principessa è marcata perchè è la più lunga del libro. Se si assemblano le diverse parti disperse nel racconto, si ha una descrizione tanto completa che sarebbe facile far un disegno ben delineato e realistico :
25 anni, giovane e bella, viso fino, bianco, delicato, dolce, coi capelli neri e certe lunghe ciglia nere... Il naso un po’ all’insù, sottile, trasparente... La bocca piccola, con il labbro superiore più grosso, simile a una rosa... Vestita di nero, con una giubba stretta: aveva i fianchi e il petto larghi e la vita di vespa, da farne il giro con le due mani. ... la mano era bianca, magra, elegante con un diamante all’indice. Gli occhi bellissimi : enormi, scuri, insieme vellutati e liquidi. ... una voce dolce, carezzevole. ...
Una figura bellissima : alta, sottile, con le gambe dritte e quel vestito nero che faceva risaltare la bianchezza della nuca e delle mani.
Il suo aspetto fa impazzire Proietti, lo fa sognare al punto da distrarsi. E fa lievitare la somma che i tre candidati vogliono spendere. L’architetto va da 4 mil. a 5 mil. Il sig. Casiraghi, l’industriale Milanese va da 5 a 6 mil. Pandolfi, un signore di campagna va da 5,5 mil. e pagherà infine 6,5 mil.
Il racconto suggerisce che signor Pandolfi e la principessa si sono innamorati. E invece no. Come in quasi tutti i racconti, Moravia ha l’abilità di metterci fuori strada. Sarà il sensato Antonio che mette Proietti al corrente del matrimonio della principessa con un principe meridionale vecchio bacucco, che potrebbe essere suo nonno...ricco però, dice che possiede mezza Calabria...
Il racconto intero e sopratutto l’ultimo passaggio mi ha fatto ricordare il proverbio estratto dal libro Le fils de Titien di Alphonse Muset : ‘Ce que femme veut, Dieu le veut’: ogni desiderio della donna è un ordine. O anche, pensando all’apparenza della principessa : ‘Pour gagner sa cause un avocat met sa robe, une femme l’enlève’: per avere ragione un avvocato indossa la toga, una donna si toglie la gonna.
Rob Miseur.
Che bravi i miei studenti!
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